venerdì 9 novembre 2012

Romeo e Giulietta, capitolo 2


Prosegue la mia versione, riveduta e corretta, di Romeo e Giulietta over 50.
Questo è il secondo capitlo, ovvero la storia di Romeo.
Il primo capitolo, ovvero la storia di Giulietta, potete trovarlo qua!

La storia di Romeo

Il professor Romeo Montecchi era un tipo allegro e gioviale.
Lo si sarebbe potuto definire “solare”, se non fosse che per un dettaglio: l'autore di questo racconto detesta il termine “solare”.
Ovunque entrasse, Romeo pareva portare un raggio di luce, un soffio di allegria. Era impossibile non volergli bene. Era impossibile non lasciarsi conquistare da lui.
Da ragazzino era stato un vero scapestrato. Il suo migliore amico, Mercuzio, poteva ricordare mille e mille imprese per le strade cittadine, mille avventure notturne, mille scorribande e miliardi di risate spensierate.
Questo prima, ovviamente. Perché poi Romeo aveva avuto altri impegni più pressanti, anche se neppure quelli erano riusciti a spegnere la fiamma della sua vitalità.
La vita di Romeo era divisa in prima e in dopo. In diversi prima e dopo, ma il più importante era stato il matrimonio con Rosalina.
Rosalina aveva la sua età, ed era andata a vivere nel suo stesso palazzo, al primo piano, quando Romeo aveva quindici anni.
Lui si innamorò di lei a prima vista.
Rosalina era bionda e rosea come una principessa delle fiabe, “con capelli d'oro fino, pelle di seta e di rosa e le labbra piene e succose come una pesca matura”, aveva scritto una volta Romeo, che era sempre stato amante della poesia.
Rosalinda non aveva denti, ma “candide perle che si dischiudevano in sorrisi colmi di promesse”, le sue mani erano “gigli purissimi e paradisiaci”, e gli occhi “due laghi colmi di cielo e di sogni infiniti”.
Si, a rileggerli adesso anche Romeo trovava questi versi melensi e stucchevoli, ma quando si è molto giovani e molto innamorati non si bada a questi dettagli. Lui li aveva scritti con tutto il cuore, e questo era l'essenziale.
Romeo scriveva quei versi su bigliettini che poi lasciava scivolare nelle tasche del cappotto di Rosalina mentre tornavano a casa da scuola assieme a Onofrio, il fratello maggiore della ragazza. Che non andava più a scuola ma accompagnava sempre la sorella, sia all'andata che al ritorno, per impedire che la fanciulla potesse fare spiacevoli incontri.
Ovvero, che potesse parlare coi ragazzi.
Onofrio era gelosissimo della sorella e non tollerava che altri uomini a parte lui e il papà potessero far parte della sua vita. Guai!
L'unico per il quale si faceva un'eccezione era proprio Romeo, perché Romeo era gentile, di buona famiglia, e poi abitava nel grande attico del sesto piano ed evidentemente non aveva cattive intenzioni.
Romeo era contento che Onofrio non potesse leggergli dentro, e non potesse capire il tumulto che Rosalina scatenava in lui.
Quando al mattino la ragazza gli sorrideva, mentre andavano a scuola (stessa scuola ma classi separate, perché quella di Rosalina naturalmente era tutta femminile), quel sorriso era così seducente, così promettente, che per tutta la mattinata Romeo non riusciva più a pensare ad altro.
Il professore di trigonometria parlava, e nella mente di Romeo c'erano solo le labbra di Rosalina, rosse e piene come mele, che si schiudevano. Che si avvicinavano a lui. Che cominciavano ad accarezzare lentamente le sue, di labbra. E poi la punta rosea, e morbida, e profumata di menta piperita della lingua di Rosalina si sporgeva, s'insinuava nella sua bocca... e a questo punto il sangue cominciava a pulsargli nelle tempie e lui doveva interrompere ogni fantasticheria, o rischiava di fare una pessima figura in classe.
Rimanere da solo con Rosalina era impossibile. Onofrio non le si schiodava mai di torno e Romeo era disperato. Per questo ricorreva al mezzuccio antiquato, e anche un po' puerile, di scriverle i bigliettini.
Gliel'aveva suggerito Mercuzio, quel sistema. Mercuzio era sempre pieno di idee, anche se non necessariamente erano tutte buone.
Certe volte, mentre tornavano a casa, Rosalina gli si faceva vicino, più vicino del consentito, e tra una chiacchiera frivola e l'altra lo sfiorava con una mano, o con un braccio, e lui allora capiva che lei cercava un contatto e per questo, solo per questo, si sentiva felice.
Un giorno lei fece cadere in terra i libri, e quando lui si chinò per aiutarla a raccoglierli lei gli infilò in mano un bigliettino. Poi gli sorrise e arrossì, prima di infilare il portone di casa con Onofrio che le ripeteva quanto fosse sbadata, distratta e “mani di pastafrolla”.
Romeo ebbe il coraggio di leggere quel bigliettino solamente quando fu rimasto da solo nella sua cameretta.
“Grazie per le poesie. Sono bellissime”, scriveva la ragazza, “Anche tu mi piaci tanto. Un bacio. Tua Rosalina.”
Anche lui le piaceva tanto! Praticamente gli aveva detto che accettava la sua corte. Praticamente era un sì. A gli mandava anche un bacio. Un bacio da quelle sue labbra di pesca.
Romeo non era mai stato tanto felice in vita sua.
Arrivò la primavera, e fu una primavera di fuoco, almeno per Romeo.
Tutto per colpa dell'episodio della camicetta di Rosalina.
Rosalina aveva una camicetta bianca, leggera e soffice come una nuvola.
Mentre stavano tornando a casa, col piede già sul portone (Onofrio stava già armeggiando con le chiavi di casa), Rosalina s'era accorta d'avere una macchia su una scarpa e si era chinata per pulirla.
E si era sporta in avanti.
E non si era accorta che gli ultimi bottoni della sua camicetta si erano slacciati.
E quando si chinò in avanti le curve dei suoi seni si affacciarono, candide e morbide, per una frazione di secondo, oltre la stoffa fine della camicetta e oltre lo spesso strato del reggiseno rinforzato.
Romeo avrebbe voluto distogliere lo sguardo, ma non ci riuscì. Rimase invece a fissare quell'apparizione, col sangue che cominciava a martellargli furiosamente dappertutto. E quando si rialzò, Rosalina arrossì lievemente, ma lo guardò fisso negli occhi, e quello sguardo sfrontato fu ancora più eccitante della fugace apparizione dei due seni candidi, e di quei due capezzoli rosa più immaginati che visti.
Perché Rosalina l'aveva fatto apposta.
Aveva voluto deliberatamente mostragli i seni, per farlo eccitare. Per averlo in suo potere.
Lei gli lanciò uno sguardo enigmatico, accennò un sorriso, riallacciò la camicetta e seguì suo fratello in casa.
L'operazione durò pochi secondi, ma a Romeo bastarono perché la sua fantasia partisse a briglie sciolte.
Pieno di vergogna, si sistemò la cartella sul davanti e appena in casa corse in bagno.
“Povero me! Che figura!”, continuava a ripetersi, “E Rosalina se n'è accorta sicuramente.”
Aprì la doccia, si sfilò i vestiti, si gettò sotto l'acqua gelida per raffreddare la vampa che gli bruciava il corpo. Che aveva fatto? Lui non voleva pensare a Rosalina in quel modo, non voleva contaminarla con le sue fantasie.
Le gocce d'acqua fredda gli inzuppavano i capelli, gli scorrevano sulle guance e si mescolavano con le lacrime. “Rosalina se n'è accorta! Rosalina se n'è accorta!”
Chiuse gli occhi e rivide il volto di Rosalina. Con quel suo sorriso e quel suo sguardo sfrontato.
“L'ha fatto apposta!”, si disse Romeo, “Lei voleva che io la vedessi. Voleva che io...”
Sentì le proprie dita sulle gote e immaginò che fossero quelle di Rosalina.
Le sue candide mani di giglio che gli accarezzavano la pelle nuda.
E scendevano dalle gote alla gola, e poi al petto, e poi più giù, più giù...

Il giorno dopo Romeo aveva quasi paura di incontrare Rosalina. Quando le diede il buongiorno si sentì travolgere da un'ondata di vergogna, ma anche di piacere. E il sorriso di lei era di nuovo così ambiguo.
Come se sapesse cos'aveva fatto lui il giorno prima, pensando a lei.
Anzi, sicuramente lo sapeva. E forse ne era anche fiera.

Quell'estate lui e Rosalina si fidanzarono.
Romeo era più felice che mai.
E quando fecero l'amore per la prima volta gli sembrò di toccare il cielo con un dito.
Poi, quando avevano diciannove anni e Romeo andava all'università, una sera Rosalina andò a chiamarlo e gli chiese di uscire. Aveva qualcosa di urgente da dirgli.
Romeo la raggiunse in cortile e vide che Rosalina stava piangendo.
“Che c'è? Cos'è successo?”
“Romeo, sono incinta.”
“Cosa? Come? In che senso sei incinta?”
“Nel senso che aspetto un bambino. Romeo, ci dobbiamo sposare.”
E si sposarono. E per farlo ebbero bisogno dell'autorizzazione dei genitori, perché in quegli anni a diciannove anni si era ancora minorenni.
Però poi venne fuori che Rosalina non era incinta per niente.
“Mi sono sbagliata”, disse.
O forse anche quello l'aveva fatto apposta.
Un anno dopo le nozze nacque il loro unico figlio, Benvolio. Poi Rosalina si trasformò in una mamma, e in una signora, e si allontanò da lui.
Il suo letto e la sua intimità divennero tabù per Romeo.
Non vide più le morbide curve dei suoi seni, forse smise anche di sognarle. Non subito. Un po' per volta. Ma capitò, lentamente e inesorabilmente.
A ventidue anni Romeo si laureò e trovò lavoro come professore di lettere, e scoprì che insegnare gli piaceva tantissimo. Adorava aiutare gli altri a imparare a pensare. Adorava far scoprire ai suoi alunni cose belle, che prima non conoscevano. Permetter loro di affacciarsi su nuovi mondi.
Quando aveva trent'anni un giorno Romeo tornò a casa e trovò Rosalina molto seria.
“Devo parlarti”, annunciò. E gli disse che lo lasciava, perché si era messa con un altro che la voleva sposare. E così finì la loro grande storia d'amore.

Da quel momento tutte le energie di Romeo si concentrarono sul lavoro e sulla gestione familiare. I Montecchi erano tanti e piuttosto disorganizzati. A Romeo toccò prendere in mano parecchie situazioni scomode.
Adesso, però, Romeo aveva nuovamente una storia con una donna.
E anche questa, caso della sorte, si chiamava Rosalina.
Questa Rosalina, però, si faceva chiamare Rose, all'inglese. Aveva trent'anni, era alta, formosa e sensuale.  Sapeva quel che voleva e quando voleva qualcosa se la prendeva, punto e basta.
Aveva voluto Romeo per capriccio, e perché anche se non era più giovane il professor Montecchi era un bell'uomo, di un certo spessore culturale e sociale. L'aveva voluto e se l'era preso. Poi si era stufata e l'aveva lasciato. Per poi riprenderselo non appena aveva visto che lui riusciva a vivere anche senza di lei.
Questo tira e molla andava avanti da dieci anni. Romeo ormai c'era abituato, certe volte non si chiedeva neanche più se fosse giusto o sbagliato.
Qualche volta alzava la testa. “Basta, sono stufo di farmi trattare come uno zerbino”, diceva.
Poi Rosalina lo guardava con quegli occhioni dolci, e quelle labbra morbide, e lo accarezzava in un certo modo, gli si faceva vicina, lo baciava e lui non riusciva mai a dirle di no.

“Ro, sei pronto?”, disse Lorenzo, da dietro la porta del bagno, “Dai, Ro, spicciati che facciamo tardi.”
Lorenzo aveva quattordici anni ed era figlio di Benvolio, e quindi il nipote di Romeo, ma non lo chiamava mai un nonno.
“Cioè, per essere vecchio, sei vecchio”, gli diceva, “ma non ci sembri mica. Cioè, certe volte mi sembri più giovane dei miei amici.”
Romeo diede un'ultima occhiata al completo da vampiro che indossava. Il costume da vampiro gliel'aveva imposto Rosalina, perché andava di moda. Anche se poi lei non era neppure sicura di andare a quella festa.
Romeo uscì dal bagno facendo roteare il mantello nero e sfoderando due canini appuntiti, finti ma molto credibili.
“Ammazza, Ro”, fischiò Lorenzo, ammirato, “Se Edward Cullen ti vede sbianca dall'invidia, garantito!”

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